sabato 13 aprile 2019

E-circular, le Università europee in rete per ridurre la plastica


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“Con uno slogan si può dire che l’economia circolare non è sufficiente, oltre a costruire processi circolari si deve ridurre il diametro del cerchio.” Così  Alberto Bellini, docente del Dipartimento Ingegneria Elettronica all’Università di Bologna, spiega ilprogetto E-circular di cui è coordinatore. Il progetto è promosso da Climate-kic, la comunità nata per promuovere l’innovazione nella sfida ai cambiamenti climatici e favorire lo sviluppo e la creazione di una società zerocarbon. La Climate KIC, riunisce più di 180 soggetti - università, enti di ricerca, imprese e amministrazioni. Vi sono anche alcune note multinazionali, che, come afferma Bellini: “purtroppo cercano di usare Climate-KIC per fare “greenwashing”, questo è deprecabile. Noi scienziati dobbiamo comunque sfruttare gli strumenti che la comunità europea ci mette a disposizione per affrontare le sfide ambientali e climatiche. La nostra ricerca è finanziata dall’Unione Europea al 100%.”
Tra le università coinvolte, oltre quella di Bologna, anche il Wuppertal Institute (Germania), la Lund University (Svezia), il Montanuniversitaet Leoben (Austria) ed Ecomatters (Olanda) e una ventina di altri partner. Iniziato a marzo 2018, il progetto è concentrato su tre principali linee di azione: ecodesign dei prodotti plastici per sostituire i prodotti non riciclabili con materiali riciclabili e biodegradabili; tecnologie digitali per promuovere la tracciabilità; una serie di regole per ridurre gli ostacoli al riuso dei materiali, promuovere le sostituzioni di prodotti con servizi e politiche fiscali a favore della riduzione e riciclo dei prodotti plastici.
Secondo alcuni dati, nel 2015 in Europa sono state prodotte oltre 49 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Ma solo il 5% delle nuove plastiche immesse nel mercato proveniva dal riciclo: un mancato riuso che si traduce in un buco da 105 miliardi di euro l’anno in tutta Europa.
“Oggi, oltre il 40% dei materiali plastici, raccolti in forma differenziata, vengono inceneriti.”racconta Alberto Bellini. “Questa soluzione è insostenibile, perché l’energia dovrebbe essere prodotta solo da fonti rinnovabili a zero emissioni. D’altra parte puntare solo sul riciclo non basta. La plastica non è riciclabile all’infinito, e quindi rimane il problema di cosa succederà a quell’oggetto riciclato una volta arrivato a fine vita. Riciclare non è sufficiente per rispettare gli obiettivi di Parigi (aumento massimo della temperatura media di 2 gradi, rispetto all’epoca pre-industriale). L’unica soluzione è ridurre la produzione di materiali plastici. ” 
Il compostabile usa e getta, viene considerato una soluzione interessante per ridurre la presenza di derivati dal petrolio nei prodotti plastici, ma come approfondisce Bellini “oggi non ci sono soluzioni che garantiscano la totale eliminazione di derivati del petrolio nelle bio-plastiche, e al tempo stesso non ci sono bio-plastiche completamente biodegradabili in mare. È una soluzione transitoria, ma non può essere una soluzione “definitiva”,  a meno di innovazioni tecnologiche. Il programma eCircular si concentra su questa ultima parte: programmi di ricerca per nuove bio-plastiche, interamente organiche e biodegradabili.”
 “La plastica ci circonda, viene usata ovunque, dal settore degli imballaggi, all’industria automobilistica, ai dossi stradali, fin al settore del’abbigliamento e dell’edilizia. La Pianura Padana viene chiamata la ‘packaging valley’ per l’enorme industria degli imballaggi presente” sottolinea la professoressa Alessandra Bonoli, del DICAM di Bologna(Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali).”Dobbiamo prevenire la sua creazione con materiali diversi come il vetro, i metalli e pratiche come il vuoto a rendere, la vendita di prodotti senza imballaggi”.
In Italia i progetti di vuoto a rendere (riuso del contenitore) esistono ma non sono così diffusi come all’estero, si scontrano con ostacoli e burocrazia, e con un modello di raccolta di rifiuti che non facilita la transizione. Alberto Bellini ci spiega perché: “In Italia i Comuni si fanno carico della raccolta di tutti i rifiuti e guadagnano dal riciclo. La responsabilità estesa dei produttori di imballaggi viene esercitata attraverso un consorzio (CONAI) che fornisce ai Comuni un corrispettivo proporzionale alla quantità e qualità degli imballaggi raccolti. Mentre all’estero (Austria e Germania, ad esempio), viene adottato un modello di raccolta rifiuti “duale”, ovvero i produttori di imballaggi si fanno direttamente carico della raccolta degli imballaggi a fine vita, mentre i Comuni raccolgono i rifiuti a esclusione degli imballaggi. Un sistema di questo tipo tende a dare maggiore responsabilità ai produttori, che preferiscono modelli come il vuoto a rendere e il deposito cauzionale: l’utente finale viene incentivato a riconsegnare gli imballaggi. In Germania anche i contenitori di PET per le bevande, restituiti all’esercente, vengono igienizzati e riutilizzati per la stessa bevanda o azienda.”