“Con
uno slogan si può dire che l’economia circolare non è sufficiente, oltre a
costruire processi circolari si deve ridurre il diametro del cerchio.” Così
Alberto Bellini, docente del
Dipartimento Ingegneria Elettronica all’Università di Bologna, spiega ilprogetto E-circular di cui è coordinatore. Il progetto è promosso da
Climate-kic, la comunità nata per promuovere l’innovazione nella sfida ai
cambiamenti climatici e favorire lo sviluppo e la creazione di una società
zerocarbon. La Climate KIC, riunisce più di 180 soggetti - università, enti di
ricerca, imprese e amministrazioni. Vi sono anche alcune note
multinazionali, che, come afferma Bellini: “purtroppo cercano di usare
Climate-KIC per fare “greenwashing”, questo è deprecabile. Noi scienziati
dobbiamo comunque sfruttare gli strumenti che la comunità europea ci mette a
disposizione per affrontare le sfide ambientali e climatiche. La nostra
ricerca è finanziata dall’Unione Europea al 100%.”
Tra le università coinvolte, oltre quella di Bologna,
anche il Wuppertal Institute (Germania), la Lund University (Svezia), il
Montanuniversitaet Leoben (Austria) ed Ecomatters (Olanda) e una ventina di
altri partner. Iniziato a marzo 2018, il progetto è concentrato su
tre principali linee di azione: ecodesign dei prodotti
plastici per sostituire i prodotti non riciclabili con materiali riciclabili e
biodegradabili; tecnologie digitali per promuovere la tracciabilità; una serie
di regole per ridurre gli ostacoli al riuso dei materiali, promuovere le
sostituzioni di prodotti con servizi e politiche fiscali a favore della
riduzione e riciclo dei prodotti plastici.
Secondo alcuni dati, nel 2015 in Europa sono state
prodotte oltre 49 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Ma solo il 5%
delle nuove plastiche immesse nel mercato proveniva dal riciclo: un mancato
riuso che si traduce in un buco da 105 miliardi di euro l’anno in tutta Europa.
“Oggi, oltre il 40% dei materiali plastici, raccolti in
forma differenziata, vengono inceneriti.”racconta Alberto Bellini. “Questa
soluzione è insostenibile, perché l’energia dovrebbe essere prodotta solo da
fonti rinnovabili a zero emissioni. D’altra parte puntare solo sul riciclo non
basta. La plastica non è riciclabile all’infinito, e quindi rimane il problema
di cosa succederà a quell’oggetto riciclato una volta arrivato a fine vita. Riciclare
non è sufficiente per rispettare gli obiettivi di Parigi (aumento massimo della
temperatura media di 2 gradi, rispetto all’epoca pre-industriale). L’unica
soluzione è ridurre la produzione di materiali plastici. ”
Il compostabile usa e getta, viene considerato una
soluzione interessante per ridurre la presenza di derivati dal petrolio nei prodotti
plastici, ma come approfondisce Bellini “oggi non ci sono soluzioni che
garantiscano la totale eliminazione di derivati del petrolio nelle
bio-plastiche, e al tempo stesso non ci sono bio-plastiche completamente
biodegradabili in mare. È una soluzione transitoria, ma non può essere una
soluzione “definitiva”, a meno di innovazioni tecnologiche. Il programma
eCircular si concentra su questa ultima parte: programmi di ricerca per nuove
bio-plastiche, interamente organiche e biodegradabili.”
“La plastica ci
circonda, viene usata ovunque, dal settore degli imballaggi, all’industria
automobilistica, ai dossi stradali, fin al settore del’abbigliamento e
dell’edilizia. La Pianura Padana viene chiamata la ‘packaging valley’ per
l’enorme industria degli imballaggi presente” sottolinea la professoressa
Alessandra Bonoli, del DICAM di Bologna(Dipartimento di Ingegneria Civile,
Chimica, Ambientale e dei Materiali).”Dobbiamo prevenire la sua creazione con
materiali diversi come il vetro, i metalli e pratiche come il vuoto a rendere, la
vendita di prodotti senza imballaggi”.
In Italia i progetti di vuoto a rendere (riuso del
contenitore) esistono ma non sono così diffusi come all’estero, si scontrano
con ostacoli e burocrazia, e con un modello di raccolta di rifiuti che non
facilita la transizione. Alberto Bellini ci spiega perché: “In Italia i Comuni
si fanno carico della raccolta di tutti i rifiuti e guadagnano dal riciclo. La
responsabilità estesa dei produttori di imballaggi viene esercitata attraverso
un consorzio (CONAI) che fornisce ai Comuni un corrispettivo proporzionale alla
quantità e qualità degli imballaggi raccolti. Mentre all’estero (Austria e
Germania, ad esempio), viene adottato un modello di raccolta rifiuti “duale”,
ovvero i produttori di imballaggi si fanno direttamente carico della raccolta
degli imballaggi a fine vita, mentre i Comuni raccolgono i rifiuti a esclusione
degli imballaggi. Un sistema di questo tipo tende a dare maggiore
responsabilità ai produttori, che preferiscono modelli come il vuoto a rendere
e il deposito cauzionale: l’utente finale viene incentivato a riconsegnare gli
imballaggi. In Germania anche i contenitori di PET per le bevande, restituiti
all’esercente, vengono igienizzati e riutilizzati per la stessa bevanda o
azienda.”
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