La risposta non può essere
univoca. E’ cambiato tantissimo a
livello di percezione della gravità del problema con un’escalation incredibile
negli ultimi due anni. Nonostante questa
maggiore sensibilità i progressi conseguiti nella riduzione o nell’attenuazione
del problema non sono, purtroppo, ancora rilevabili.
La cosiddetta “storia di
successo dell’Italia” nelle politiche di riduzione che continuiamo a leggere
sui media è poco più di una vittoria di Pirro. Se il consumo di sacchetti di
plastica si è più che dimezzato , nei supermercati -dove si è verificata la
maggiore riduzione- abbiamo ancora un 35% circa di consumo di sacchetti monouso
biodegradabili .
Questi sacchetti, seppur
biodegradabili negli impianti di compostaggio (1) sono pur sempre costituiti da un 60/70% di
plastica fossile, oltre alla componente di matrice vegetale.
La battaglia contro l’usa e
getta è tutt’altro che vinta nei negozi del piccolo commercio, così come nei
mercati all’aperto, dove le sporte riutilizzabili, quando va bene servono a
contenere più shopper e non sono certamente prevalenti rispetto agli shopper
monouso. Fortunatamente, con il
provvedimento dello gennaio 2018 che ha inserito l’obbligo di battere sullo
scontrino il costo per i sacchetti in bioplastica, ci sono catene di abbigliamento che hanno
iniziato a fare pagare i sacchetti di plastica di un certo spessore e con
manici a fagiolo che sono ancora permessi (ma non quelli di carta ahimè). Ci
sono invece altri settori, come quello delle farmacie che hanno introdotto si i
sacchettini ultraleggeri compostabili dal gennaio 2018 facendoli pagare per
qualche mese ma poi, visto la mancanza
di controlli hanno smesso, con tanti saluti all’effetto disincentivante che ne
poteva scaturire. Ci sono paesi come l’Olanda che hanno recepito diversamente
l’indicazione europea di ridurre i sacchetti monouso imponendo agli esercizi
una cessione onerosa dei sacchetti sia in plastica che bioplastica con costo
consigliato di 25 cent.
Se guardiamo al consumo complessivo di imballaggi degli
ultimi anni va detto che hanno continuato ad aumentare di almeno 2-3 punti
percentuali anno dopo anno. Non sono previsti cambiamenti nel trend perché sono
i nostri stili di vita e di consumo che continuano ad andare da tutta altra
parte rispetto ad una riduzione dello spreco.
Per fare un paio di esempi
di consumi ad alto tenore di imballaggio che sono in crescita c’è tutto il
consumo di bevande e cibo “on the go”, e di piatti pronti ordinati come asporto
oppure online.
Aumenta anche l’offerta e il
consumo nei supermercati di cibo di qualunque tipo pronto al consumo, spesso in
monoporzioni, e aumenta anche nel settore ortofrutta il ricorso al
confezionamento, sia in plastica che in cartoncino. Non si fa fatica a credere
ai risultati di uno studio di un paio di anni fa di Bocconi (1) che aveva evidenziato uno scenario al 2030 in cui l’aumento
degli imballaggi, arrivava ad essere più del doppio delle quantità che sarebbe stato possibile
ridurre mettendo in campo tutte le possibili azioni di prevenzione e riduzione.
Figurarsi cosa possiamo aspettarci se non mettiamo in
campo alcuna misura di prevenzione e con la prospettiva di avere, con l’aumento
delle raccolte differenziate al sud, maggiori quantità di imballaggi senza
valore commerciale post consumo tra plastiche e imballaggi in poliaccoppiato
che vengono raccolte per poi finire prevalentemente smaltite in qualche
modo.
Non dimentichiamo che oltre
alla questione ambientale e sanitaria qui entra anche in gioco la sostenibilità economica del sistema di gestione
degli imballaggi attuali che pesa sui bilanci dei comuni.
Infatti i costi di gestione
dei rifiuti da imballaggio li pagano, per una percentuale intorno all’80% i comuni attraverso le bollette dei
rifiuti dei cittadini mentre solamente una percentuale intorno al 20% è a
carico dei produttori/utilizzatori di imballaggi, come ha quantificato l’ultima
Indagine sui rifiuti dell’Antitrust. Questo significa meno risorse per i comuni
da impiegare in altri progetti di interesse pubblico.
Cosa bisognerebbe fare per
non perdere questa battaglia contro rifiuti evitabili come quelli da usa e
getta ?
Come non mi stanco mai di
ripetere, e soprattutto in un momento in cui si identifica in un materiale come
la plastica la causa di tutti i mali, bisogna agire soprattutto sulle cause, e
non solamente sui sintomi come amiamo fare, se non vogliamo perderci in
soluzioni palliative che ci allontanano dalle vere soluzioni.
La plastica monouso è stata
la chiave di volta per tanti cambiamenti, nel bene come beni durevoli e nel
male come utilizzi monouso non governati.
La plastica è stata nella
sua applicazione di monouso la soluzione ideale come packaging per mettere in
soffitta i sistemi di vuoto a rendere per le bevande, che nei decenni dagli
anni settanta in poi, hanno subito un inesorabile declino in tutto il
mondo. Con la sua straordinaria
leggerezza, versatilità e ottime prestazione per garantire la conservazione dei
prodotti la plastica ha reso possibile lo sviluppo del sistema attuale di
consumo alimentare globalizzato che commercializza e movimenta miliardi di
containers da una parte all’altra degli emisferi. Siamo arrivati così a
considerare normali situazioni che hanno effetti letali sull’ambiente e
contribuiscono al surriscaldamento climatico. Mi riferisco a bere l’acqua delle
Alpi in Giappone o a mangiare in Europa le mandorle e prugne della California,
o le pere dell’Argentina, anche quando abbiamo produzione nostrane degli stessi
prodotti.
Abbiamo così creato in ogni
nazione delle monoculture che sfruttano all’inverosimile i territori e i
lavoratori al punto che anche le certificazioni di sostenibilità perdono di
credibilità.
Come possono esistere
coltivazioni sostenibili in un pianeta che già nei primi 5 / 6 mesi dell’anno
ha già esaurito il budget annuale di risorse naturali e continua per i restanti
mesi dell’anno ad estrarre, produrre rifiuti ed inquinamento bruciando le
risorse delle future generazioni? Il Global Footprint Network insieme al WWF si
occupa di misurare il grado di consumo di risorse che avviene nei diversi paesi
che determina ogni anno la data in cui si finiscono le risorse naturali a
disposizione denominata Overshoot day . In Italia l’Overshoot day è caduto il
15 maggio scorso.
Questo scenario preoccupante
ci dovrebbe far comprendere che per agire sull’inquinamento da plastica bisogna
agire contemporaneamente su più fronti e che è necessario un quadro legislativo
sistemico per evitare provvedimenti disomogenei che determino spostamenti degli
impatti ambientali su altri piani o producano effetti collaterali. Non ci si può aspettare che l’industria vada
contro ai propri interessi senza obblighi di legge o altre misure che
incentivino una produzione e una commercializzazione dei beni più sostenibile.
Allo stesso modo non si può
pretendere che cittadini spesso sprovvisti di nozioni ambientali di base impieghino tempo ed
energie per “andare contro il sistema” nell’approvvigionarsi, tanto per fare un
esempio, di detersivi alla spina o trovare dei modi per evitare le mille forme
di consumo monouso.
La direttiva sulle plastiche
monouso (Single Use Plastics – SUP) che dovrà essere recepita entro luglio
2021, e il recepimento in corso delle direttive del pacchetto sull’economia
circolare relative ai rifiuti, introducono
delle novità interessanti che potrebbero cambiare gli scenari attuali di
gestione dei rifiuti. Mi riferisco in particolare all’obbligo per gli stati
membri di predisporre dei sistemi di riutilizzo e riparazione dei beni,
all’aumento dei target di riciclo, al previsto rafforzamento dei sistemi di
responsabilità estesa del produttore EPR che dovranno sostenere i reali costi
di avvio a riciclo dei propri imballaggi, e agli obiettivi di raccolta delle
bottiglie in plastica che dovranno arrivare al 90% rispetto all’immesso al 2029
con un’obiettivo intermedio del 77% al 2025.
Sempre più comuni adottano
ordinanze plastic free: ci sono buoni modelli da proporre incisivi a livello
ambientale?
Ho fatto recentemente
un’analisi articolata sul tema che include anche la decisione di Federdistribuzione
di sostituire a scaffale entro un anno le stoviglie in plastica monouso con
opzioni in bioplastica ( ugualmente bandite dalla direttiva Sup) che invito a
leggere alla sezione Approfondimenti del sito comunivirtuosi.org
Questa decisione è stata
sollecitata, a mio parere, sia dal timore di perdere le vendite di questi
manufatti a seguito del “sentiment anti-plastica” che dai provvedimenti plastic
free che in alcuni comuni si sono spinti a vietare anche la vendita, oltre che
l’utilizzo di queste stoviglie negli esercizi del settore della ristorazione.
Per rispondere al quesito
sull’incisività ambientale, va ricordato che, se il “migliore rifiuto” è quello
che non si produce, le “migliori ordinanze” sono quelle in cui si sostituisce
la plastica con borracce, bicchieri e stoviglie riutilizzabili.
Come studi hanno dimostrato
la sostituzione con bicchieri o stoviglie in Pla o altri materiali non sempre
comporta un vantaggio ambientale a livello di emissioni di Co2 rispetto alle
opzioni in plastica. Solamente uno studio LCA mirato ad uno specifico ciclo di
utilizzo in uno specifico contesto geografico che faccia i conti con i sistemi
di avvio a riciclo e la tecnologia dell’impiantistica lì presente può misurare
in modo preciso l’impatto ambientale di un materiale rispetto ad un altro. Ma studi con questi requisiti e
specifiche non ne ho trovati.
Un recente studio sull’impatto dei manufatti
compostabili sul sistema di gestione dei rifiuti Norvegese ha evidenziato una
mancanza di infrastrutture disponibili per trattare il materiale compostabile,
una contaminazione tra i materiali compostabili che si mischiano a quelli di
plastica fossile con una conseguente perdita di qualità del compost, difficoltà
alla attrezzature meccaniche causate da residui di plastiche compostabili e la
conseguente necessità di rimuovere tutti gli oggetti “dall’aspetto plastico”
dal flusso dei rifiuti organici.
Anche se uno studio sul
contesto italiano rivelerebbe molto probabilmente problematiche simili dovute
ad un aumento della quantità di manufatti nella raccolta dell’umido che
dovremmo affrontare, non voglio impegolarmi in discussioni troppo
tecniche. Giusto per chiarire la mia
posizione io sono per una riduzione drastica della nostra dipendenza dal
petrolio e per un uso attento e moderato delle materie plastiche per prodotti
durevoli che deve sempre avvenire all’interno di circuiti chiusi, senza
dispersioni nell’ambiente e sprechi di materia. Allo stesso tempo però non tifo
per alcun materiale in virtù di un presunto “male minore” e soprattutto quando
utilizzato per produrre monouso.
La stella polare che deve
guidare le decisioni dei decisori politici e aziendali, a mio parere, è la gerarchia europea di gestione dei
rifiuti che mette al primo posto la prevenzione e il riuso tra le azioni
prioritarie da intraprendere in quanto ambientalmente preferibili. Pertanto la prima domanda da porsi non è
certamente in quale materiale realizzo un prodotto usa e getta, perché
significherebbe perdere una battaglia senza combatterla e accettare il rifiuto
come una fatalità. Al contrario la prima domanda deve essere : posso fare a
meno di un manufatto? Posso sostituirlo con un’opzione riutilizzabile cambiando
il sistema di erogazione di una bevanda o del cibo oppure adattare le ricette
per permettere una somministrazione zero pack come è quella del cono edibile
del gelato?
Attualmente, siccome tutto
sommato costa meno cambiare materiale monouso rispetto a doversi organizzare
per gestire manufatti riutilizzabili, e non esistono obiettivi di riutilizzo
obbligatori o resi economicamente convenienti per legge si tende ad utilizzare
usa e getta per motivi di comodità più che di mancanza di alternative nella
maggioranza dei casi.
Se penso a buoni modelli di
ordinanze plastic free alla luce di quanto ho spiegato non riesco proprio a
focalizzare solamente un materiale ma se si vuole ridurre il flusso di
rifiuto dell’usa e getta penso all’approccio adottato da Berkeley che ha emesso un’ordinanza che ha previsto un percorso a tappe
della durata di due anni coinvolgendo gli esercizi commerciali in un percorso
di transizione guidato. Quando entrerà in vigore i contenitori per cibo e
bevande in plastica saranno banditi, quelli in materiale compostabile dovranno
essere controllati se compatibili con l’impiantistica locale
dall’amministrazione della cittadina e non potranno essere ceduti
gratuitamente. Gli esercenti dovranno addebitare ai loro clienti un costo
riferito al contenitore monouso che sarà lo stesso in tutta la città.
Da subito l’amministrazione
si è messa al lavoro per promuovere i contenitori riutilizzabili sostenendo la
nascita di aziende di servizi che possono fornire agli esercizi che vendono
bevande e cibo da asporto un servizio di noleggio e di sanificazione dei contenitori
quando gli esercizi non hanno spazi sufficienti per potere gestire le stoviglie
riutilizzabili.
Perché nella direttiva
europea per la riduzione delle plastiche monouso che dovrà entrare in vigore
nel 2021 sono esclusi dal divieto i bicchieri di plastica? Sono meno pericolosi
se dispersi nell'ambiente?
Sinceramente è una decisione
che mi ha sorpreso perché, così come la direttiva ha proibito le stoviglie e
posate in plastica poiché considerate delle opzioni per cui esistono delle
alternative più sostenibili sul mercato, non si può dire che queste
considerazioni valgano meno per i bicchieri. Al contrario i sistemi di
bicchieri riutilizzabili in plastica dura o silicone sono molto più diffusi
delle stoviglie riutilizzabili in occasioni di grandi eventi musicali o fiere.
Ad Amsterdam ci sono bar nei parchi o locali storici dove si tengono concerti
che già da anni usano bicchieri riutilizzabili cauzionati. Non per nulla sempre
ad Amsterdam è entrata in vigore un’ordinanza che vieta tutti i tipi di bicchieri
usa e getta per eventi sul suolo pubblico e permette solamente le versioni
riutilizzabili.
Ecco perché sono attive in
Olanda diverse aziende che si occupano del servizio di noleggio e gestione di
bicchieri chiavi in mano per tutte le occasioni.
In Italia ci sono tante
paure e resistenze ad adottare un vero sistema di vuoto a rendere
Questo è un argomento che
meriterebbe un’intervista dedicata. I sistemi di deposito per i contenitori di
bevande sono l’unica risposta esistente che ottiene percentuali di raccolta a
fine vita pari ad oltre il 90% dell’immesso. Nonostante queste performance, ed
il fatto che non pesano sulle bollette dei rifiuti dei comuni e dei cittadini,
( essendo sistemi che vengono finanziati e gestiti dai produttori e utilizzatori
di bevande e dai supermercati ) questi sistemi vengono osteggiati dai soggetti
prima citati con poche eccezioni e dagli schemi esistenti di responsabilità
estesa del produttore principalmente perché :
1) per gli utilizzatori di
imballaggi significa pagare il costo completo di quando i comuni spendono per
organizzare la raccolta differenziata e non solamente meno di un terzo di
quanto spendono. Per ogni tonnellata di materiale impiegato gli utilizzatori di
imballaggio versano ai consorzi conai, a seconda del materiale, un contributo
ambientale che i consorzi dovrebbero impiegare per finanziare le raccolte
differenziate nei comuni. Tuttavia quando i produttori di bevande dovranno
sostenere i costi completi pagati dai comuni, una volta recepita la direttiva prima
citata, correranno a gambe levate a sostenere i sistemi di deposito perché
costerà loro molto meno. Si è già visto all’estero. Esiste inoltre da parte
dell’industria delle bevande il timore che una maggiorazione sul costo della
bevanda dovuta dalla cauzione, possa determinare un calo delle vendite.
2) per gli schemi di EPR
rappresentati in Italia dai consorzi del Conai, e in particolare per plastica,
vetro e lattine, un sistema di deposito significa rischiare di perdere la parte
di maggior valore degli imballaggi di bevande.
Questo significa in soldoni
una perdita finanziaria importante derivante dall’incasso del contributo
ambientale (CAC) da parte dei produttori di bevande che metterebbe a rischio
l’esistenza stessa del sistema dei consorzi , almeno nella loro forma attuale,
molto vicina ad un sistema monopolistico.
Per quanto riguarda i
sistemi di deposito esiste da parte della politica locale e nazionale
una certa diffidenza nei
loro confronti che è trasversale
rispetto agli schieramenti politici.
Questo atteggiamento deriva
in genere da una limitata conoscenza dei sistemi di deposito esistenti e dei
risultati conseguiti a cui si aggiunge un certo timore nel dover cambiare il
sistema attuale. Infatti, qualora si pensasse di adottare un vero sistema di
deposito per le bevande si renderebbe necessaria una revisione dei sistemi di
raccolta e di avvio a riciclo attuali, inclusi i contratti in essere dei comuni
con i gestori locali dei rifiuti .
Tuttavia se vogliamo
raggiungere gli obiettivi europei di raccolta e riciclo e in particolare per le
bottiglie di plastica questi sistemi rappresentano l’unica risposta possibile
per vincere la guerra dei rifiuti e della dispersione degli imballaggi
nell’ambiente.
Sempre se si assoggettano
tutti i tipi di contenitore evitando cosi effetti collaterali di cui abbiamo un
chiaro esempio già ora nella crescita nel consumo di lattine che stanno
rimpiazzando le bottiglie di plastica con un impatto di packaging doppio,
almeno a livello di unità.
Per avere mezzo litro di acqua
ci vogliono due lattine che quando finiscono nei cestini stradali o
nell’ambiente vengono sprecati al pari dei contenitori in plastica.
Questo è solo uno degli
effetti indesiderati dell’onda anti-plastica quando manca l’intervento da parte
di chi dovrebbe governare i processi di transizione sia a livello aziendale che
istituzionale, oppure si abdica trovando più semplice cavalcare facili slogan.
Ma è la magia della comunicazione o dello story telling, che dir si voglia,
bellezza!
(1) Ai sensi della norma
EN 13432 che fissa i criteri per cui un materiale sia riconosciuto come
compostabile.
(2) La transizione ad una circular economy e il
futuro del riciclo degli imballaggi in Italia”. Indagine sul livello di
adesione dell’economia circolare in Italia da parte della filiera italiana
degli imballaggi commissionata da Conai e condotta dall’Osservatorio Green
Economy di IEFE Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Questo è un punto di vista molto interessante sulla necessità urgente di ridurre l’uso della plastica monouso e il suo devastante impatto ambientale! È fondamentale adottare alternative come stoviglie compostabili e contenitori riutilizzabili per combattere l’inquinamento da plastica. Su Ecobioshopping (https://www.ecobioshopping.it/) sosteniamo questa visione offrendo una vasta gamma di stoviglie sostenibili e compostabili. Piccoli cambiamenti, come scegliere prodotti eco-friendly, possono fare una grande differenza per il pianeta. Insieme possiamo ridurre i rifiuti e proteggere i nostri ecosistemi! 🌍💚
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