lunedì 28 dicembre 2015

Rifiuti zero è essenzialità

Uno dei messaggi che emerge più chiaramente dal blog di Bea Johnson Zero Waste Home, che è stato forse il primo a lanciare quello che oggi è a tutti gli effetti un piccolo movimento anti-rifiuto, è che una vita senza rifiuti sia innanzitutto uno stato mentale. Uno stato di grande libertà.

Il rifiuto dell'imballaggio è un rifiuto dell'inutile, del superficiale, del superfluo. Quando rifiuto di generare rifiuti, punto all'essenziale: al contenuto, al chilo di riso, al pezzo di formaggio, al litro di acqua, che è quello che davvero mi serve. E diventa un modo di guardare il mondo, un modo di pensare, che aiuta a liberarsi anche delle zavorre di cose superflue che spesso volenti o nolenti si accumulano nelle nostre case: un bisogno quasi impellente di semplificare, ridurre, rendere essenziali anche gli ambienti in cui viviamo.


Noi abbiamo da poco cambiato casa per motivi di lavoro (ancora piango quando penso a quanti scatoloni ci siamo dovuti procurare - usati però - per il trasloco, ma tant'è, non siamo stati creativi abbastanza da fare altrimenti). Siamo finiti in una casa più piccola, con una famiglia in crescita (il piccolino ha un anno). Donare, rivendere, cedere vestiti (soprattutto dei bimbi ma anche nostri), giocattoli, libri, oggetti per la cucina, persino i miei vasetti di marmellata vuoti, è stato liberatorio.
Ci si sente più leggeri, rinfrescati, liberi. Meno si ha, più si è.

Quando conserviamo oggetti inutilizzati per anni, pensando che un giorno magari potremmo averne di nuovo bisogno, seguiamo un po' l'istinto delle nostre nonne probabilmente, che temevano di perdere anche quel poco che avevano e conservavano tutto. Noi invece abbiamo già troppo: e se invece quell'oggetto non ci servirà mai più? Non è forse meglio farlo girare, passarlo a chi invece è sicuro di averne bisogno oggi? Se le cose circolassero di più, anche in termini di baratto e scambio, non avremmo timore di lasciar andare quello che per noi è inutile.

Conservare cose inutilizzate o utilizzate poco "perché magari poi un giorno serviranno" non solo le mantiene inutilizzate per il presente, ma ci complica anche la vita. Serve posto per tenerle, ce le si deve portare dietro se e quando ci si deve trasferire: è un ingombro e pure un costo, in definitiva.
Oltre che un costo sociale: se tengo un paio di pantaloni in cui non entro più perché spero un giorno di dimagrire la conseguenza è che magari qualcuno che cercava proprio un paio di pantaloni così, usati, non li trovi e li debba comprare nuovi. Liberarsi di quello che non usiamo libera risorse per gli altri, spesso a costo zero o comunque molto limitato.

Ci sono tanti modi per far girare quello che non usiamo senza trasformarlo in un rifiuto ma dando nuova vita. Organizzare scambi di vestiti con gli amici, o scambi di giochi, libri, CD e DVD con altre famiglie; donare alle biblioteche, rivendere ai negozi dell'usato, persino su internet esistono gruppi del tipo "te lo regalo se vieni a prenderlo" per gli scambi locali.

"Ma e se poi ne sento la mancanza?". Un'ottima strategia è di inscatolare o mettere in un sacco gli oggetti di cui non siamo certi di volerci sbarazzare; lasciamoli lì per un periodo, diciamo dai tre ai sei mesi. Se restano nel sacco senza che sentiamo la necessità di andarli a ripescare, probabilmente non ne abbiamo davvero bisogno.

Noi siamo partiti dal guardaroba... abbiamo ridotto di molto ma la strada da fare è ancora tanta - specie per i bimbi che hanno tanti cambi "in caso" ma poi portano sempre quei 3 o 4 capi preferiti. Un settore su cui lavorare nei prossimi mesi!

Un altro esempio che dà Bea e che mi ha fatto sorridere perché noi ci siamo dentro alla grande? Le penne. Quante penne biro tendiamo ad accumulare nelle nostre case? Vuoi perché ce ne regalano, le perdiamo, non ci sono mai quando servono eccetera... non so voi ma noi siamo sommersi dalle penne, ne abbiamo ovunque. Il mio primo proposito per il 2016 è di regalarle a un doposcuola o a un corso di lingua per stranieri.
Se di penne ne abbiamo una, anche costosa, ma che scrive bene e ricaricabile, la terremo probabilmente più cara, ne avremo più cura, non la perderemo. Non avremo bisogno di penne ovunque sparse per la casa perché sapremo dove trovarla quando ci serve.
Saremo felici di dire: "No, grazie", quando la banca/posta/farmacia o chicchessia ce ne vuole regalare una di quelle "promozionali". Che sembrano gratis ma non lo sono, ricorda anche Bea: hanno un costo ambientale, e nell'accettarle creiamo una domanda e un mercato per questi gadgets.

La libertà parte dalle piccole cose. Buon proseguimento di liberazione a tutti!





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